Brevi note di commento alla sentenza della Corte Costituzionale n. 195/2024, del 6 dicembre 2024.
di Pierpaolo Lucifora
Ciclicamente, la corte costituzionale ricorda alle parti politiche preposte al governo del Paese che la gestione delle risorse finanziarie, è un’attività che non risponde solo ai programmi partitici bensì anche precise regole costituzionali, fondanti il nostro ordinamento giuridico, il quale pone al centro la tutela della persona umana nel senso più nobile del termine.
Ecco, la sentenza della Corte Costituzionale n. 195/2024, del 6 dicembre 2024, (redattore Antonini), ha il merito di riportare alla ribalta e ripercorrere il complesso rapporto tra sostenibilità economica dell’apparato pubblico e la tutela dei diritti sociali, tra questi, del diritto alla salute sancito dall’art. 32 della Costituzione della Repubblica, quale espressione di un diritto fondamentale della persona umana.
Il Giudice delle leggi – non è la prima occasione – è stato chiamato a giudicare la legittimità costituzionale di alcune disposizioni della legge 30 dicembre 2023, n. 213, “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2024 e bilancio pluriennale per il triennio 2024-2026”, in particolare, nella parte in cui, hanno ridotto le risorse destinate alla sanità pubblica per mere esigenze di risparmio finanziario.
Ebbene, la Corte Costituzionale, nel solco di una giurisprudenza non nuova sulla questione, ha evidenziato ancora una volta il carattere “non sacrificabile” della sanità pubblica, anche nel caso in cui il legislatore abbia deciso di adottare delle misure restrittive sotto l’aspetto finanziario per ridurre la spesa pubblica generale.
Quindi, in un contesto di risorse scarse, afferma la Corte “per far fronte a esigenze di contenimento della spesa pubblica dettate anche da vincoli euro-unitari, devono essere prioritariamente ridotte le altre spese indistinte, rispetto a quella che si connota come funzionale a garantire il ’fondamentale’ diritto alla salute di cui all’articolo 32 della Costituzione, che chiama in causa imprescindibili esigenze di tutela anche delle fasce più deboli della popolazione, non in grado di accedere alla spesa sostenuta direttamente dal cittadino, cosiddetta out of pocket”.
Le esigenze di risparmio, dunque, non possono prevalere e andare a discapito delle politiche sociali, né di altri diritti fondamentali della persona; questa è l’estrema sintesi della pronuncia della Corte, che ribadisce un principio (per la verità) mai abbandonato dai giudici costituzionali, nonostante, invece, sia spesso dimenticato dal nostro legislatore.
Se le risorse pubbliche non sono sufficienti a far fronte alle esigenze più disparate provenienti dalla Comunità governata, allora, la scelta di governo non può essere diversa: occorre destinarle a garanzia dei diritti fondamentali, tra cui rientra, per antonomasia il diritto alla salute; solo secondariamente possono essere indirizzate verso altre necessità che, in una ipotetica scala valoriale, non hanno la medesima importanza dei diritti fondamentali della persona.
In altre parole, il diritto alla salute non può essere sacrificato “fintanto che esistono risorse che il decisore politico ha la disponibilità di utilizzare per altri impieghi”
Da ricordare, sempre che ve ne sia bisogno, che il diritto alla salute è l’unico che la Costituzione definisce come “fondamentale” (art. 32, Cost., “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Non è un particolare irrilevante, perché, così battezzandolo, i padri costituenti hanno voluto identificare il diritto alla salute quale presupposto logico di tutti gli altri diritti costituzionali. La salute, in questa prospettiva, è un bene che viene considerato complementare alla vita stessa, quindi, a ben ragione, è considerata la base su cui, inevitabilmente, poggiano tutti gli altri diritti.
In una posizione recessiva rispetto a tali diritti, si pongono, quindi, anche i vincoli di spesa pubblica, quale espressione dell’obbligo, sempre più pressante negli ultimi anni, del pareggio di bilancio, pure di rango costituzionale ma, al quale, in un ordinamento fondato sulla centralità della persona umana, non può essere accordata la prevalenza su tutto il resto. Per tali ragioni, la sentenza in commento ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 527, quinto periodo, della legge di Bilancio 2024, nella parte in cui non ha escluso dalle risorse potenzialmente riducibili quelle spettanti per il finanziamento dei diritti sociali, delle politiche sociali e della famiglia, nonché, ovviamente, della tutela della salute.
La sentenza ha sollecitato il legislatore al fine di “scongiurare l’adozione di ’tagli al buio’, ad ’acquisire adeguati elementi istruttori sulla sostenibilità dell’importo del contributo da parte degli Enti ai quali viene richiesto e a non trascurare il coinvolgimento della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica”.
Come sempre accade, gli effetti della pronuncia della Corte Costituzionale appaiono dirompenti, coinvolgendo in maniera diretta il sistema sanitario italiano e la governance delle risorse pubbliche senza mezzi termini.
In primo luogo, perché fissa un principio-guida per il legislatore e per le future politiche di governo, per il quale le risorse destinate alla sanità non sono negoziabili ma devono essere salvaguardate anche in un contesto di tagli alla spesa pubblica, in quanto essenziali a garantire la tutela della dignità umana. In secondo luogo, quale logico corollario del suddetto canone di buon governo, poiché costringe il legislatore a indirizzare le sue politiche di spending review, espressione sempre più in auge negli ultimi anni, sulle spese non prioritarie, ossia, diverse, come già sottolineato, da quelle riguardanti i diritti fondamentali.
In linea conclusiva, la sentenza n. 195 del 2024, della Corte ha il merito, non è male ripeterlo, di porre un freno alle politiche del risparmio di spesa a difesa del diritto alla salute, dei diritti sociali e familiari in genere, andando oltre le fredde esigenze del pareggio di bilancio e invitando le forze di Governo a un uso delle risorse pubbliche che preservi non solo la sostenibilità finanziaria delle manovre, ma anche – e soprattutto – la dignità della persona umana e, con essa, la coesione sociale.
Pierpaolo Lucifora – avvocato-giornalista pubblicista