di Pina Travagliante
In campagna elettorale, tutti – da Schlein a Conte, da Calenda a Renzi – si sono accorti che esistono lunghe liste d’attesa per ottenere visite e prestazioni sanitarie e accusano il governo di non aver fatto nulla per abbatterle. I partiti al governo si difendono dicendo che esistevano anche prima e, in fretta e furia, preparano uno schema di decreto legge intitolato “Misure urgenti per la riduzione dei tempi delle liste di attesa delle prestazioni sanitarie” e un disegno di legge chiamato “Misure di garanzia sulle prestazioni sanitarie”.
Per Giorgia Meloni che mira a trionfare alle elezioni europee la questione è dirompente. Due le novità del provvedimento: la prima consiste nel fatto che «se le prestazioni non vengono erogate nei tempi previsti dalle vigenti classi di priorità, le aziende garantiscono al cittadino la prestazione in intramoenia o attraverso il privato accreditato» e «le modalità sono definite con decreto del ministro della Salute entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione». La seconda prevede che le visite e gli accertamenti diagnostici si devono effettuare di sabato e di domenica e anche nella fascia serale. Inoltre, una norma vieta la chiusura delle agende di prenotazione e obbliga il privato a condividere le proprie con il Cup regionale, altrimenti rischia la convenzione. Stop anche al doppio lavoro dei medici e sancita la possibilità per le farmacie di svolgere analisi di primo livello.
Molti i malumori anche nella maggioranza perché se i privati dovranno garantire all’assistito (che dovrà comunque anticipare i soldi) le prestazioni si rischia un aumento dei costi che al ministero calcolano attorno al miliardo di euro e Giorgetti ha già sottolineato il rischio che saltino i conti.
Anche le visite e gli accertamenti diagnostici di sabato e di domenica, oltre che nella fascia serale, rappresentano un problema di copertura in considerazione del fatto che il lavoro serale e festivo costa di più. Nelle previsione di spesa c’è anche l’aumento complessivo del 15% del fondo per le spese del personale e nel disegno di legge c’è l’aumento del 20% della tariffa oraria per le prestazioni aggiuntive, con la flat tax del 15% per le stesse ore extra.
Critiche sono state avanzate da parte di tutte le Regioni a cui il ministro Schillaci ha fatto presente che il mezzo miliardo garantito alle Regioni in tre anni non è stato ancora speso. E quindi quei fondi sono disponibili.
Ma tra le Regioni chiamate a discuterlo la critica è sempre la stessa: «Un decreto senza soldi non ha senso e molte di quelle misure già le adottiamo». Al Ministero dell’economia hanno tenuto stretta la borsa, solo 300 milioni per sostenerlo e fino al 2025 non si potrà avere di più. E senza soldi, come sostengono le Regioni, non si va da nessuna parte e tutto resterà lettera morta.
Pina Travagliante, prof.ssa ordinario di Storia del pensiero economico