di Annalisa Tardino*
L’approvazione del Regolamento UE che istituisce uno spazio europeo dei dati sanitari (EHDS) rappresenterà una pietra miliare per migliorare l’accesso alle cure per i pazienti ma anche per stimolare la ricerca scientifica indispensabile allo sviluppo di nuovi farmaci e terapie.
Durante il mio mandato da Europarlamentare ho avuto il privilegio di ricoprire il ruolo co-relatrice del provvedimento EHDS in quanto componente della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni al Parlamento Europeo insieme al collega Sokol per la Commissione per la salute pubblica (ENVI).
La finalità del nuovo strumento europeo è principalmente quella di facilitare l’accesso a cure di qualità per il tramite dell’utilizzo dei dati sanitari, promuovendone inoltre la condivisione sicura e anonima nell’interesse pubblico.
Durante i negoziati e il lavoro con i colleghi deputati ho lavorato per raggiungere un delicato equilibrio tra la necessità di stimolare la ricerca in ambito scientifico tutelando al contempo la privacy di ciascun individuo offrendo un controllo adeguato sui propri dati personali.
Credo di poter dire in piena coscienza che è grazie alla nostra risolutezza in tutte le fasi delle discussioni che i dati sanitari dei cittadini Ue saranno maggiormente tutelati e non solo: i pazienti avranno pieno controllo sui propri dati.
In estrema sintesi, il nuovo strumento consentirà ai pazienti di accedere ai propri dati sanitari in formato elettronico, anche da uno Stato membro o da una regione diversi da quelli in cui risiedono, e permetterà agli operatori sanitari di consultare i fascicoli dei loro pazienti con il loro consenso (questo tipo di accessi viene definito uso primario), anche da altri paesi dell’Ue. Queste cartelle cliniche elettroniche (denominate Ehr o European Health Record) includerebbero resoconti sui pazienti, prescrizioni elettroniche, immagini mediche e risultati di laboratorio.
L’EHDS consentirà inoltre di trasferire i dati sanitari in modo sicuro agli operatori sanitari di altri paesi dell’Ue (tramite la piattaforma MyHealth@EU). Parliamo qui di vantaggi tangibili, compresa la possibilità di scaricare gratuitamente la propria cartella sanitaria tramite smartphone o di ritirare una ricetta in una farmacia di un altro Paese.
Insisto nel dire che siamo di fronte a benefici concreti per tutti cittadini: pensiamo ad esempio a quante persone ogni anno si recano in un altro paese o in un’altra regione per fruire di cure mediche specialistiche e incontrano difficoltà linguistiche, burocratiche e logistiche che li portano talvolta a ripetere esami medici (anche invasivi). Con la cartella digitale, tutti questi ostacoli verranno rimossi. Anche in caso di emergenza medica all’estero gli operatori sanitari potranno intervenire con piena conoscenza di dati importanti quali allergie, trattamenti o gruppo sanguigno, salvandoci letteralmente la vita.
Per incrementare le possibilità di gestione del paziente sui propri dati abbiamo anche ideato un meccanismo che consentirà di restringere l’accesso a specifici dati o a specifiche categorie di professionisti della salute. Un esempio: un paziente potrà “schermare” le informazioni relative a pregresse patologie mentali al proprio ortopedico. Il paziente potrà inoltre scegliere quali categorie di dati sanitari desidera inserire nel sistema di cartelle cliniche sanitarie elettroniche. Grazie al nostro intervento, poi, in una logica di tutela della confidenzialità, il paziente potrà tenere traccia degli accessi alla propria cartella sanitaria digitale tramite un sistema di notifica. In ogni momento, i cittadini avranno quindi contezza di chi ha consultato i propri dati personali.
Il punto sul quale mi sono impegnata maggiormente riguarda la tutela trasversale della privacy dei pazienti. In effetti, la proposta iniziale presentata dalla Commissione puntava su un approccio di “buona fede” del trattamento dei dati il quale lasciava però scarsa discrezionalità al paziente. In nome dello sviluppo di nuove cure benefiche al superiore interesse pubblico si comprimevano eccessivamente i diritti individuali. Personalmente, dissentivo rispetto a questo approccio poiché sono convinta che il sistema possa portare benefici solo se gode della fiducia dei titolari dei dati. Mi sento di rivendicare con convinzione che grazie alle nostre proposte le salvaguardie sono state notevolmente rafforzate in tal senso e abbiamo inserito il diritto dei pazienti a non partecipare allo spazio Ue (attraverso un agevole meccanismo di cosiddetto opt out per l’utilizzo secondario) non conferendo i propri dati per fini di ricerca. Mi sono, altresì, battuta affinché l’esercizio di questo diritto fosse accessibile e comprensibile a tutti, anche ai pazienti con più bassi gradi di alfabetizzazione digitale, quali ad esempio gli anziani.
Inoltre per categorie di dati particolarmente sensibili, quali ad esempio i dati genomici, è stato richiesto il consenso espresso al trattamento per uso secondario tramite un meccanismo di cosiddetto opt-in.
Non sono certamente la prima a dire che i dati sanitari sono lo strumento più potente che abbiamo per approfondire la comprensione della salute umana. Dati accurati rendono più efficaci le attività di ricerca e sviluppo, più rapide le diagnosi e, in ultima analisi, portano alla scoperta di metodi più avanzati e mirati per il trattamento delle malattie. Inoltre, i dati raccolti tramite EHDS permetteranno anche di migliorare la risposta in caso di crisi o epidemie.
Il mio approccio tuttavia puntava ad assicurare un migliore bilanciamento tra i diritti sanciti dal Regolamento generale sulla protezione dati (Gdpr), della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue e il perseguimento degli obiettivi di interesse collettivo previsti nello spazio europeo dei dati sanitari. Sin dall’inizio dei lavori ho avuto la convinzione che per stimolare la fiducia verso questo strumento i pazienti dovessero avere quindi pieno controllo sui propri dati.
Per questo abbiamo ottenuto che il trattamento dei dati sanitari elettronici avverrà esclusivamente attraverso tecniche collaudate per garantire la riservatezza delle informazioni (attraverso processi di anonimizzazione o pseudonimizzazione). In altre parole, risalire all’identità del paziente a partire dai dati sanitari non potrà essere possibile.
Inoltre, proprio perché si tratta di dati personali estremamente sensibili nonché strategici (e nonostante il parere contrario degli esperti in materia di commercio estero) abbiamo ottenuto l’obbligo di archiviare i dati sanitari elettronici esclusivamente nel territorio dell’Unione. I dati dei cittadini europei potranno quindi essere conservati solo in Stati che dispongono dei più elevati standard in materia di protezione dei dati personali. E ci siamo opposti alla condivisione di dati, più o meno statistici, per scopi pubblicitari e assicurativi.
Un ultimo aspetto che mi preme sottolineare e che mi pareva particolarmente rilevante alla luce del panorama medico italiano è quello delle indispensabili deroghe per le micro imprese che detengono dati sanitari. In effetti, i piccoli studi medici e le piccole farmacia sarebbero stati gravati da oneri eccessivi derivanti dalla raccolta e trasmissione dei dati. Grazie all’intervento di noi parlamentari, le micro-imprese sono escluse dall’obbligo di rendere disponibili i loro dati per l’uso secondario nel quadro dell’Ehds.
Concludo, ribadendo che lo spazio europeo dei dati sanitari rappresenterà una svolta in materia di assistenza sanitaria, assicurando la continuità e la qualità delle cure, contribuendo allo sviluppo di sistemi sanitari più resilienti e sostenendo l’innovazione nell’industria medica europea, anticipando la cartella sanitaria elettronica in Italia. Un nuovo inizio, a cui siamo riusciti ad associare il pieno rispetto dei diritti fondamentali, a partire dalla protezione dei dati personali.
*Deputato europeo