di Pina Travagliante
I rapporti fra letteratura e medicina si sono fatti negli ultimi tempi sempre più intensi poiché in tanti ritengono che la medicina narrativa, affondando le sue radici nell’arte e nella letteratura, rientri a giusto titolo fra le scienze umanistiche.
Donatella Lippi, docente di Storia della medicina presso l’Università di Firenze, nel suo libro Specchi di carta. Percorsi di lettura in tema Medicina Narrativa sostiene che lo studio della letteratura servirebbe alla formazione del medico per controbilanciare un sapere troppo tecnologico e riduttivo e per comprendere i malati poiché per curare i disturbi di un paziente non basta spiegarli, occorre comprenderli. Non a caso, nei suoi percorsi di lettura, Donatella Lippi propone brani tratti da Verga che descrive la malattia di Mastro Don Gesualdo o da Proust che racconta la sofferenza della nonna moribonda. La malattia, infatti, è un tema abbastanza diffuso nella letteratura, tanto è vero che si può parlare di un vero e proprio topos letterario. Se nei tempi antichi la malattia era vista come una punizione inflitta dagli dei, in età moderna il tema della malattia è abbastanza diffuso in letteratura e si carica di significati metaforici. Basti pensare al romanzo di Gesualdo Bufalino, la Diceria dell’untore, il cui protagonista è un giovane reduce dalla seconda guerra mondiale con un lobo di polmone «sconciato dalla fame e dal freddo». Il romanzo è ambientato nell’estate del ’46 e pubblicato nel 1981, ma l’autore aveva confidato a Sciascia che lo aveva pensato nel ’50 e scritto nel ’71 e poi continuamente rivisitato. Il libro è denso di riflessioni sulla malattia, sulla morte e si svolge in un sanatorio come luogo di incantesimo. Proprio per questo, in tanti hanno stabilito un parallelismo con il romanzo La montagna incantata di Thomas Mann che tratta specificamente il tema della malattia e rappresenta un vero e proprio topos letterario. Facendo tesoro della propria condizione di malato di tubercolosi, ricoverato nel sanatorio di Davos, Thomas Mann elabora una concezione della malattia e della morte come passaggio obbligato al sapere, alla salute e alla vita. La malattia è un evento che separa dal mondo del lavoro, della produttività, ma consente una riflessione filosofico-esistenziale sulla condizione umana, sulla fragilità dell’individuo. «La malattia – scrive – ti dà la libertà […] ti rende geniale. Nel romanzo – come ha scritto Susan Sontag – la malattia viene usata come metafora, perché viene caricata di una vasta gamma di significati; si proietta sulla malattia ciò che si pensa del male e «si proietta sul mondo la malattia stessa».
Emblematico, in tal senso, il romanzo la Coscienza di Zeno in cui Italo Svevo (1923) descrive la sua malattia, le terapie, la sua battaglia persa contro il fumo e in cui è evidente l’opposizione tra malattia e salute, tra inettitudine e sicurezza, tra fallimento e successo, dove le persone in salute sono sicure di sé, energiche nella vita e mietono successi in ambito lavorativo. Ma poiché la sicurezza, il successo non sono mai duraturi, la malattia appare alla fine come l’unico vero stato dell’intera umanità.
Tanti, in letteratura, gli esempi in cui la malattia diventa metafora dell’intera società. Nei Promessi sposi, Manzoni dedica tre interi capitoli alla peste che mette in crisi l’intero ordine sociale ottocentesco e la città di Milano. La peste diventa metafora di una società malgovernata e corrotta in cui spadroneggiano i prepotenti e gli azzeccacabugli. Il tema della peste torna in Abert Camus e diventa malattia collettiva e metafora delle guerre mondiali che devastano non una singola città, ma il mondo intero provocando sbandamento. Nella Nausea di Sartre, la malattia è metafora della contingenza, dell’irrazionalità e della ipocrisia della società borghese, così come in Uno, nessuno e centomila di Pirandello la malattia è espressione del disagio dell’uomo razionale di fronte all’incertezza dell’età contemporanea.
Partendo da queste considerazioni, Remo Ceserani, che ha insegnato letteratura comparata all’Università di Bologna, nel suo libro Convergenze riporta le iniziative di alcuni medici, soprattutto statunitensi, che attraverso riviste e insegnamenti incoraggiano i futuri medici a formarsi una cultura umanistica e ad utilizzare i personaggi dei romanzi per capire e interpretare la psicologia dei malati e a introdurre negli ospedali, accanto alla cartella clinica, una cartella parallela con la storia personale del paziente.
Sulla scia di queste iniziative, alcune giovani scrittici inglesi Ella Berthoud e Susan Elderkin hanno inventato la biblioterapia e hanno scritto un libro intitolato The Novel Cure. Ad ogni malato in base alla patologia viene consigliato un libro; anziché andare in farmacia si va in libreria e a seconda del malessere si consiglia Flaubert, Salinger o Italo Calvino.
Certo si tratta di provocazioni ma non è totalmente privo di senso ricordarsi della battuta di uno studioso belga, Simon Leys: «A pensarci bene, dovendo scegliere fra due dottori che avessero un’uguale qualificazione medica, credo che preferirei fidarmi di quello che abbia letto Cechov».
Negli ultimi vent’anni «la narrazione è diventata un’area essenziale di ricerca e di sviluppo nel settore della salute» e la MN, pur non essendo una scienza esatta, rientra nell’ambito delle scienze; del resto come ha teorizzato Damasio in L’Errore di Cartesio, forse non esistono scienze esatte.
Nel giugno del 2014, infatti, il Centro Nazionale Malattie Rare durante la Conferenza di Consenso promossa dall’Istituto Superiore della Sanità ha pubblicato delle linee guida in cui si afferma: «con il termine di Medicina Narrativa (mutuato dall’inglese Narrative Medicine) s’intende una metodologia d’intervento clinico-assistenziale basata su una specifica competenza comunicativa. La narrazione è lo strumento fondamentale per acquisire, comprendere e integrare i diversi punti di vista di quanti intervengono nella malattia e nel processo di cura. Il fine è la costruzione condivisa di un percorso di cura personalizzato (storia di cura). La Medicina Narrativa si integra con l’Evidence-Based Medicine e, tenendo conto della pluralità delle prospettive, rende le decisioni clinico-assistenziali più complete, personalizzate, efficaci e appropriate. La narrazione del paziente e di chi se ne prende cura è un elemento imprescindibile della medicina contemporanea, fondata sulla partecipazione attiva dei soggetti coinvolti nelle scelte. Le persone, attraverso le loro storie, diventano protagoniste del processo di cura»: non a caso negli ultimi anni sono apparsi varie e interessanti storie narrate dai pazienti, ma anche da chi li cura.