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Connettiviti indifferenziate: facciamo chiarezza

Nella comune pratica clinica è frequente osservare sindromi caratterizzate da manifestazioni cliniche e sierologiche tipiche di malattie autoimmuni reumatologiche ma senza quei criteri che consentono di porre una diagnosi di certezza secondo linee guida. Tali affezioni hanno avuto nel tempo varie definizioni ma forse quella che rende meglio l’indeterminatezza e nello stesso la complessità dei vari quadri clinici è certamente quella di connettiviti indifferenziate (in inglese Undifferentiated Connective Tissue Diseases, UCTD).
I dati epidemiologici sono scarsi: interessano specie le donne e rappresentano tra il 20 e il 50% delle diagnosi fatte in soggetti con sintomi suggestivi per patologie autoimmuni afferenti a centri specialistici reumatologici. In circa i 25% tali quadri indifferenziati evolvono verso una connettivite definita e ciò si realizza in genere entro i primi 5 anni di malattia. In circa il 20% dei casi tali affezioni invece sono autorisolventesi con scomparsa persistente della sintomatologia e della positività sierologica.
Non esistono sintomi o segni specifici delle connettiviti indifferenziate che invece sono condivisi con le connettiviti maggiori: artralgie, artrite, fenomeno di Raynaud, xerostomia, xeroftalmia, febbricola, astenia, leucopenia, anemia. Il profilo clinico delle connettiviti indifferenziate è caratterizzato dall’assenza di coinvolgimento sistemico, senza quindi coinvolgimento renale, epatico, polmonare o del sistema nervoso.
Nel 90% dei casi si ha positività degli ANA, meno frequentemente degli ENA. Importante può essere eseguire una capillaroscopia che può evidenziare un quadro di vasculite.
Il paziente va monitorato nel tempo (ogni circa 6/8 mesi) e il decorso è in genere benigno, consentendo una vita pressoché normale, gravidanza compresa.
In accordo con il quadro clinico il trattamento prevede l’utilizzo di FANS, cortisonici, antimalarici ed in casi particolari methotrexato.
Lo specialista di riferimento di queste patologie è il reumatologo ma fondamentale è il ruolo del medico di famiglia sia nella diagnosi precoce che nel monitoraggio clinico e strumentale.

Il dottore Nino Rizzo
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